martedì 23 giugno 2015

TRUE DETECTIVE SECONDA STAGIONE, considerazioni a caldo dopo la pilot


Ieri ho visto la prima puntata della seconda stagione di True Detective. Considerazioni a caldo e differenze subito palpabili rispetto alla prima stagione sono gli argomenti portanti di questo post. Cominciamo allora!

Vi ricordo che è una serie antologica e quindi il cast e le ambientazioni cambiano. Dimenticatevi quindi il paesaggio desolato della Louisiana e apprestatevi a smarrirvi tra le strade trafficate e tentacolari dei sobborghi di Los Angeles, California. Questa è sicuramente una grande differenza rispetto alla prima stagione.

I personaggi perdono la loro delineatura marcata che avevano, mi spiego meglio. Anche se Rust e Marti erano sicuramente dei personaggi con dei lati oscuri, nascosti, contraddittori in fondo erano in tutto e per tutto buoni. Ricercavano la verità ed erano dalla parte giusta della legge. In questa seconda stagione tutto cambia: Colin Farrel è un poliziotto corrotto da un imprenditore fallimentare, Rachael Adams è in balia di una famiglia con evidenti problemi e abusa del suo potere di poliziotta per mettergli i bastoni tra le ruote ed infine Taylor Kitsch è un giovane veterano con problemi psichici gravi. Non sono colleghi, uno è un detective, l’altra è dell’ufficio dello sceriffo e l’ultimo è l’equivalente della nostra polizia stradale. E questa è un’altra grande differenza perché risponderanno tutti a capi diversi con diverse competenze. Nic Pizzolato, lo sceneggiatore e creatore della serie, sembra quindi spingersi oltre, individuando più personaggi principali e inserendoli in un contesto più popolato e quindi molto più difficile da gestire. L’unica cosa in comune è l’omicidio di un consigliere comunale, un omicidio di tipo rituale, strizzando l’occhio alla prima stagione. C’è sempre questo in True Detective, qualche pseudo religione che attrae sempre lo spettatore, che lo costringe a lasciarci trascinare dove l’oscurità è più scura.

Nic ci rende ancora più difficile la storia, aumentando dialoghi, riducendo i silenzi ed aumentando i livelli narrativi. Prima si divideva solo tra presente e passato mentre ora tra presente, passato e a livello dei singoli personaggi che, anche se siamo solo alla prima puntata, seguono ritmi e schemi completamenti diversi. Sicuramente un azzardo che ripagherà o condannerà questa serie: ma siamo solo all’inizio.


“We get the world we deserve” 

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