(Nuova rubrica ogni sabato!!!)
Ho cominciato a fare “cinema” 3 anni fa ormai. Prima da
sceneggiatore e produttore(zero o low budget), poi da due anni ho curato anche
la regia dei miei lavori.
Dopo tre anni credo di poter fare un resoconto, basato sulla
mia esperienza, di ciò che è il cinema indie in Italia e in particolare a
Milano. Un resoconto che è per lo più negativo purtroppo.
Dividerò in capitoli questa mia esperienza cercando di
andare a toccare ogni argomento caldo dell’ambiente.
Sono considerazioni scritte di getto, non badate troppo alla
forma, è un flusso di coscienza.
CAPITOLO 1 - SOLDI
Partiamo dall’argomento più spinoso in particolare per
quelli che, secondo il mio modesto parere, il cinema indipendente non hanno
capito manco cosa significhi qua da noi.
Per chi non lo sapesse indipendente significa che i
produttori non sono major cinematografiche(es. Mediaset e Rai) e non prendono
soldi dallo stato. Non è che tanti non lo vorrebbero ma semplicemente non
possono, per esempio per ragioni fiscali o semplicemente non ce l’hanno fatta a
far accettare il progetto(complesso se non si ha una serie di conoscenze). I soldi
quindi da dove vengono? Da investitori privati o dalle tasche dello stesso
regista, attore ecc.
Considerando che in Italia la quantità di investitori
privati è veramente bassa la maggior parte delle opere vengono autoprodotte con
rinunce nel coinvolgere figure accessorie nella composizione della troupe o nella
riduzione all’osso del cast attoriale. Esempio classico nel settore fotografia,
molte volte il direttore della fotografia si ritrova a fare sia l’operatore che
il macchinista. Questo è un problema del tutto italiano perché altrove il
cinema indie è molto più sviluppato e riconosciuto parte integrante dell’industria
cinematografica.
Da qui si può analizzare la questione retributiva. Chi paga
chi? Quanto? Ha davvero senso chiedere una retribuzione? Ha davvero senso
boicottare i progetti di chi non ha budget per il “bene” del lavoro?
In teoria il produttore dovrebbe pagare tutti. In pratica
quasi automaticamente i tecnici e le maestranze non prendono una lira. Solitamente
perché sono loro stessi la casa di produzione(anche se non ne hanno la
costituzione fiscale spesso) e quindi investono sul progetto, che gli potrebbe
portare visibilità e reputazione(importantissima per il lavoro video anche non
artistico ma puramente commerciale). Molte volte non si ha la possibilità di
sperimentare nei progetti commerciali e quindi si preferisce crescere
professionalmente su progetti come questi. Gli attori tendenzialmente sono
quelli che non ne vogliono sapere del gratisssse, perché il loro è un lavoro e
va pagato. Salvo poi andare in tv per 30 euro lordi e 15 ore di riprese ospiti
da Barbara D’Urso. Il dramma è che le richieste economiche verso gli indie sono
astronomiche rispetto al curriculum, alle capacità ma soprattutto alla paga che
solitamente ricevono dalla Barbarona nazionale.
Se un attore chiede la stessa cifra che ha preso per fare
uno spot della Barilla in un solo giorno semplicemente non è in grado di
distinguere il peso delle produzioni. Un lavoro più lungo necessariamente ti
verrà pagato meno rispetto ad un lavoro di un solo giorno, ovviamente in
proporzione al giorno. Poi se il cliente è un ragazzo sotto i 30 anni
sicuramente non avrà il potere economico che ha una multinazionale. Ma è un
concetto che sfugge.
Cosa facciamo io e gli altri miei collaboratori? Semplicemente
non paghiamo nessuno. Se non ti va per noi non c’è problema, ognuno è libero di
agire come crede. E comunque se avessimo i soldi non prenderemmo quasi
sicuramente le persone che alla fine prendiamo, è un ragionamento abbastanza
cinico ma è così, perché è un ragionamento di profitto. Questo è quello che non
capisce l’attore medio italiano, che dietro di lui ne sono pronti altri 100 e
se non accetta lui qualcun altro accetterà.
La mia filosofia è che è inutile boicottare progetti, non
partecipare, segnalare su fb o simili persone che vogliono creare qualcosa che
per loro è bello. L’importante è essere onesti con se stessi e non spacciarsi
per qualcosa che non si è, soprattutto a livello lavorativo e professionale. Soprattutto
persone che sostanzialmente non hanno esperienza e grande talento, non che io
ne abbia questo è fuori discussione. Quello che manca è la determinazione e la
voglia di sperimentare e sporcarsi le mani. C’è solo la brama di essere famosi,
di avere qualche migliaio di like su Instagram, ma sopra ogni cosa di avere
tutto, subito e senza sacrificio.
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