sabato 17 agosto 2019

Cinema Indie, CAPITOLO 5 – I FESTIVAL



Impacchettato il cortometraggio e scartate quindi le società di distribuzione ci accingiamo ad inviare il nostro corto ai grandi festival internazionali incuranti del giudizio altrui ma soprattutto delle politiche del cinema che conta. Perché come si sa il festival dà lustro al lavoro cinematografico e il nostro lavoro sarà sicuramente apprezzato da tutti e selezionato a Venezia. Il red carpet aspettava solo me d’altronde.
Purtroppo non funziona così. Se teoricamente i festival premiano la qualità dei lavori molto spesso ci ritroviamo ad un funzionamento leggermente diverso. Partiamo dai maggiori europei, con quelli americani ho poca confidenza. Solitamente gli sponsor maggiori di queste manifestazioni sono le stesse distribuzioni gigantesche che non vi hanno accettato il lavoro quando gliel’avete proposto. Di conseguenza anche per i lavori più piccoli hanno i loro registi da piazzare. C’è sicuramente una realtà tecnica, un corto girato con una macchina fotografica non può competere quasi mai con uno girato con tutte le attrezzature corrette. Anche se a livello narrativo può esserne superiore. Quindi più o meno i major festival sono per le major, l’eccezione poi ci può essere.
Il sottobosco dei festival minori è in continuo aumento. È un pro e un contro per gli indie, maggiori piazze ma anche minor valore della selezione. C’è stato un fiorire di festival online per esempio, senza quindi un evento fisico, si paga la fee iniziale, molte volte è addirittura mensile lo “svolgimento” del festival, quasi sicuramente si viene selezionati e con buone probabilità si vince pure qualcosa. Il fatto qual è, è che il film non l’avrà visto nessuno, nessuno ti avrà notato, non discuterai con nessun regista o produttore, aggiungerai solo una coroncina al tuo palmares. Un palmares che avrà senso di esistere solo fino a quando qualcuno del settore non verificherà che hai pagato 60 euro per un evento che non esiste se non virtualmente, che avviene ogni mese, che premia sostanzialmente tutti i partecipanti. Quindi hai pagato per vantarti con i tuoi amici, contento te.
Ci sono poi festival minori molto interessanti che si svolgono esattamente come quelli sacri del cinema “vero”. Hanno uno svolgimento vero e proprio e possono essere un buon trampolino per i primi lavori, per conoscere altre persone e creare un minimo di network, mostrare il proprio lavoro alla platea, coglierne le reazioni e capire cosa c’è da migliorare. Perché quando vedi il tuo corto proiettato sul grande schermo con un sistema audio da cinema l’impatto è totalmente diverso rispetto a quando lo si vede in montaggio. Solitamente questi festival hanno delle fee molto basse e accessibili, premiano tendenzialmente i lavori che riflettono la loro identità come festival quindi attenzione a scegliere quelli adatti, molti hanno un livello medio alto per quanto riguarda la selezione dei lavori quindi comunque attenzione a proporre il tuo primo cortometraggio.
In conclusione, il mercato festivaliero è diventato anch’esso un business vero e proprio, i festival molte volte sono associazioni create col solo scopo di guadagnarci un pacco di soldi con delle spese minime o nulle(vedi quelli online). L’unica arma che ha il piccolo produttore indie è quella di armarsi di pazienza e passare in rassegna ogni festival presente sulle varie piattaforme disponibili e capire dove si ha la possibilità almeno di essere selezionati senza buttare via un pacco di soldi per dei riconoscimenti che in realtà giocano solo a sfavore del proprio prodotto.
Con questo episodio si conclude questa rubrica. Grazie a tutti quelli che l’hanno seguita, commentate e scrivetemi se volete qualche dritta a proposito di questo fantastico e terrificante mondo.
Un saluto

sabato 10 agosto 2019

Cinema Indie, CAPITOLO 4 – LE SOCIETà DI DISTRIBUZIONE


Esportato il nostro cortometraggio dal software preferito che utilizziamo vogliamo proporlo a qualcuno che sia in grado di portarlo ai festival. Ci stanno quindi le case di distribuzione.
In teoria questo è il momento in cui i produttori rientrano dei loro investimenti o per lo meno raggiungono un accordo affinché nel periodo di distribuzione rientreranno dei loro investimenti e ci guadagneranno qualcosa. I diritti di distribuzione sono quelli che effettivamente consentono di incassare danari danarosi.
Quindi i produttori si accordano o su una cifra forfettaria oppure su una percentuale di ritorno sulla distribuzione in sala e in home video. La società di distribuzione paga perché crede che il progetto gli porterà degli utili.
Questo nel mercato del cortometraggio italiano non succede, è sempre il produttore che pagherà la società di distribuzione per la distribuzione nei festival. Questo è semplicemente assurdo, non solo perché la distribuzione a questo punto non fa più da cesoia o da limite per i prodotti di scarso livello ma si rompe ogni possibilità meritocratica. Perché comunque quando l’attività promozionale e festivaliera si fa da soli quindi anche questa “autoprodotta” potrà essere sempre un lavoro a metà e non del tutto professionale.
Queste case di distribuzione festivaliere speculano sui piccoli produttori/registi, senza assicurare risultati e certe volte peggiorando la reputazione. Ho visto corti essere iscritti al festival della merda(esiste davvero) e nemmeno accorgersene. Chiedono per un anno delle cifre che sono abbordabili seppur superando abbondantemente i mille euro.
Sicuramente ci sono più probabilità che veniate selezionati se rappresentati da una di queste società ma attenzione come poi vi dirò nell’appuntamento sui festival, alcuni di questi sono semplicemente degli eventi creati per guadagnare soldi e al vostro lavoro non faranno guadagnare alcun prestigio. O peggio, alcuni festival vengono sponsorizzati proprio da queste società di distribuzione per piazzare i propri corti e artisti. Questa condotta indubbiamente danneggia il mercato ma soprattutto il merito che invece dovrebbe essere il fondamento del festival.
Personalmente ho deciso quindi per ora di non essere rappresentato, né io né il mio marchio, da alcuna società che si occupi di distribuzione. Almeno per ora, non ho incontrato nessuno fosse adatto a ricoprire questo ruolo in mia vece. Non perché sono bravo ma a volte l’etica un pochettino conta.

sabato 3 agosto 2019

Cinema Indie, CAPITOLO 3 – LA PRODUZIONE


Il primo capitolo di questa rubrica era dedicato ai soldi, la produzione è lo sfruttamento di questi per la messa in scena della sceneggiatura.
La produzione di cosa? Principalmente di cortometraggi. Non affronto la produzione di lunghi in questa rubrica. Anche per quanto riguarda il primo capitolo affrontato settimana scorsa si tratta appunto di cortometraggi. Non ha senso impegnare delle persone per un tempo lungo senza la sicurezza di una retribuzione immediata, secondo me è anche poco etico.
Per quanto riguarda la produzione quindi cosa si intende? Si intende il momento vero e proprio di shooting. È un momento difficile pieno di tensione e il timore di non riuscire a finire. Perché? Di solito si ha poco tempo per girare se tutte le persone coinvolte non sono pagate, non si può tenere impegnati tutti per periodi lunghi. È quindi l’ansia di dover finire a tutti i costi in 3-4 giorni al massimo senza la possibilità di replicare, vuoi per indisponibilità successiva dei tecnici o del cast, vuoi per quella della location. Il consiglio è quello di limitare le location al minimo assoluto 1-2 altrimenti le difficoltà aumentano vertiginosamente.
La grossa problematica delle produzioni indipendenti è l’organizzazione, perché solitamente manca e solitamente causa anche il naufragio definitivo del progetto. Ho visto progetti durare anni e poi naufragare a 3 scene dalla conclusione, o progetti essere rivisti talmente tante volte dal diventare completamente senza senso(a livello di storia). Questo deriva proprio dalla mancanza di organizzazione. Si tende molte volte a voler “fare l’arte” senza tutte le implicazioni tecniche e produttive che ne derivano. Sottovalutare per esempio l’elemento cibo e bevande è un’altra causa di una squadra nervosa e poco pronta ad affrontare un lavoro che è uno dei più faticosi mai fatti. Davvero. In certi casi è davvero così, avere persone con la pancia piena e con un po’ di alcol in corpo facilita enormemente il lavoro, rende tutti più rilassati e meno inclini a sviluppare la tendenza a voler in qualche modo mettere i bastoni tra le ruote alla produzione.
L’organizzazione talvolta militare che deve avere una produzione audiovisiva è normalmente poi anche l’origine del suo successo. Sia ben inteso non a livello artistico ma prettamente a livello di goal raggiunti. Pensare che l’importante sia avere soltanto una buona sceneggiatura, delle maestranze e degli attori decenti basti a creare un prodotto sostenibile è pura fantasia.

sabato 27 luglio 2019

Cinema Indie, CAPITOLO 2 – GLI APERITIVI



Si sa, Milano è una città fondata sull’aperitivo. Questo l’ho capito quando una persona qualsiasi dell’ambiente “artistico” per parlare del tuo o del suo progetto “artistico” ti invita a fare un aperitivo e tu, tu sei costretto ad accettare perché altrimenti non la incontrerai mai. Perché è sempre occupata. Ha sempre qualcosa da fare. Anche se non è vero. E quindi via di aperitivo che poi alla fine paghi sempre tu perché l’artista non va mai in giro coi soldi, ma nemmeno con la carta. Ti dice sempre che l’ha lasciato in macchina il cazzo di portafoglio. Salvo poi scoprire mesi dopo che lui manco ha la patente. Ma torniamo all’aperitivo. Mentre consumi la tua Corona pagata 23 euro(la miglior birra che il locale chicchissimo, scelto dall’artista, ha in frigo) lui/lei ti parla della sua vita, di quanto ha sofferto e di tutte le sfighe che ha, le ingiurie che ha subito, e non c’è niente che puoi dirgli lui/lei è un artista tormentato/a e porta dentro di sé il sacro fuoco dell’arte drammatica. Dopo 3 ore in cui ha parlato solo l’artista è tempo di rientrare e del progetto non si è minimamente parlato, ci si lascia con un abbraccio che nemmeno alla mia fidanzata riuscirei a dare, selfie con #amicisindasubito #progettoneinarrivo. Vuole che ci rincontriamo il più presto possibile per un altro aperitivo per parlare del progetto.
4 mesi dopo ci si incontra di nuovo in un locale più underground perché è meglio, ci sta una buonissima birra artigianale ti dice, salvo poi scoprire che l’hanno finita e gli è rimasta solo la Corona. Via altri 23 euro di Corona, perché il posto sarà pure underground ma sullo scontrino viene fuori che la società è la stessa di quell’altro. Parliamo del progetto e di come calzi a pennello su di lui, che finalmente potrà esprimere se stesso. Chiede comunque quanto verrà pagato, nonostante il progetto magari sia pure suo e manco il tuo, nonostante tu gli avessi già detto che non ci stava un penny islandese ma lui ci prova comunque, non si sa mai. Tutto sto cinema è durato 3 ore e quindi si rientra, discuteremo delle cose tecniche la prossima volta.
4 mesi dopo si torna al primo locale dove adesso però si balla musica country e da milanese imbruttito quale sono entrando ho già mandato a quel paese chiunque si frappone fra me e la mia Corona da 23 euro, che tengo a volere pagare in anticipo, via il dente via il dolore. La cameriera me ne chiede 28 perché è serata con ballo e quindi evento speciale come i film dello studio ghibli al cinema. La discussione con l’artista a sto giro verte sul nulla, perché in realtà l’artista l’arte non la vuole fare, gli piace essere lì a parlarne, a discuterne, ma mai a farla. Perché non ha semplicemente nulla da dire, da raccontare e da comunicare. Tutta la sua esistenza è basata sull’aperitivo, sul chiacchiericcio. Non si arriva mai ad approfondire, a scavare dentro il progetto che lui stesso ha in mente perché dopo le frasi forti che a tutti almeno una volta vengono in mente nella vita non c’è niente, il vuoto totale.
E quindi dopo 3 ore è ora di rientrare.
E nel frattempo è passato un anno.

sabato 20 luglio 2019

Cinema Indie - INTRODUZIONE E CAPITOLO 1 - SOLDI


(Nuova rubrica ogni sabato!!!)

Ho cominciato a fare “cinema” 3 anni fa ormai. Prima da sceneggiatore e produttore(zero o low budget), poi da due anni ho curato anche la regia dei miei lavori.
Dopo tre anni credo di poter fare un resoconto, basato sulla mia esperienza, di ciò che è il cinema indie in Italia e in particolare a Milano. Un resoconto che è per lo più negativo purtroppo.
Dividerò in capitoli questa mia esperienza cercando di andare a toccare ogni argomento caldo dell’ambiente.
Sono considerazioni scritte di getto, non badate troppo alla forma, è un flusso di coscienza.



CAPITOLO 1 - SOLDI
Partiamo dall’argomento più spinoso in particolare per quelli che, secondo il mio modesto parere, il cinema indipendente non hanno capito manco cosa significhi qua da noi.
Per chi non lo sapesse indipendente significa che i produttori non sono major cinematografiche(es. Mediaset e Rai) e non prendono soldi dallo stato. Non è che tanti non lo vorrebbero ma semplicemente non possono, per esempio per ragioni fiscali o semplicemente non ce l’hanno fatta a far accettare il progetto(complesso se non si ha una serie di conoscenze). I soldi quindi da dove vengono? Da investitori privati o dalle tasche dello stesso regista, attore ecc.
Considerando che in Italia la quantità di investitori privati è veramente bassa la maggior parte delle opere vengono autoprodotte con rinunce nel coinvolgere figure accessorie nella composizione della troupe o nella riduzione all’osso del cast attoriale. Esempio classico nel settore fotografia, molte volte il direttore della fotografia si ritrova a fare sia l’operatore che il macchinista. Questo è un problema del tutto italiano perché altrove il cinema indie è molto più sviluppato e riconosciuto parte integrante dell’industria cinematografica.
Da qui si può analizzare la questione retributiva. Chi paga chi? Quanto? Ha davvero senso chiedere una retribuzione? Ha davvero senso boicottare i progetti di chi non ha budget per il “bene” del lavoro?
In teoria il produttore dovrebbe pagare tutti. In pratica quasi automaticamente i tecnici e le maestranze non prendono una lira. Solitamente perché sono loro stessi la casa di produzione(anche se non ne hanno la costituzione fiscale spesso) e quindi investono sul progetto, che gli potrebbe portare visibilità e reputazione(importantissima per il lavoro video anche non artistico ma puramente commerciale). Molte volte non si ha la possibilità di sperimentare nei progetti commerciali e quindi si preferisce crescere professionalmente su progetti come questi. Gli attori tendenzialmente sono quelli che non ne vogliono sapere del gratisssse, perché il loro è un lavoro e va pagato. Salvo poi andare in tv per 30 euro lordi e 15 ore di riprese ospiti da Barbara D’Urso. Il dramma è che le richieste economiche verso gli indie sono astronomiche rispetto al curriculum, alle capacità ma soprattutto alla paga che solitamente ricevono dalla Barbarona nazionale.
Se un attore chiede la stessa cifra che ha preso per fare uno spot della Barilla in un solo giorno semplicemente non è in grado di distinguere il peso delle produzioni. Un lavoro più lungo necessariamente ti verrà pagato meno rispetto ad un lavoro di un solo giorno, ovviamente in proporzione al giorno. Poi se il cliente è un ragazzo sotto i 30 anni sicuramente non avrà il potere economico che ha una multinazionale. Ma è un concetto che sfugge.
Cosa facciamo io e gli altri miei collaboratori? Semplicemente non paghiamo nessuno. Se non ti va per noi non c’è problema, ognuno è libero di agire come crede. E comunque se avessimo i soldi non prenderemmo quasi sicuramente le persone che alla fine prendiamo, è un ragionamento abbastanza cinico ma è così, perché è un ragionamento di profitto. Questo è quello che non capisce l’attore medio italiano, che dietro di lui ne sono pronti altri 100 e se non accetta lui qualcun altro accetterà.
La mia filosofia è che è inutile boicottare progetti, non partecipare, segnalare su fb o simili persone che vogliono creare qualcosa che per loro è bello. L’importante è essere onesti con se stessi e non spacciarsi per qualcosa che non si è, soprattutto a livello lavorativo e professionale. Soprattutto persone che sostanzialmente non hanno esperienza e grande talento, non che io ne abbia questo è fuori discussione. Quello che manca è la determinazione e la voglia di sperimentare e sporcarsi le mani. C’è solo la brama di essere famosi, di avere qualche migliaio di like su Instagram, ma sopra ogni cosa di avere tutto, subito e senza sacrificio.

giovedì 18 luglio 2019

DEVIL MAY CRY 5 - GRANDI RITORNI



Torna il vecchio e caro Dante. Lo fa in grande stile? Sì, nì, forse.
Dopo il reboot DMC di Ninja Theory, Capcom decide di tornare sui suoi passi e reintroduce la linea narrativa che ha reso un cult il brand. Anche se DMC non è stato quel disastro che tutti pensano, sia in termini di vendite sia in termini di godibilità del titolo. Per esempio a me non era dispiaciuto. Ma bando alle ciance.
A sto giro ci stanno tutti, ma proprio tutti i personaggi che compongono l’universo del cacciatore di demoni. Già da questo si può intuire come tutta la narrazione sarà volutamente fan service. Ma fan service di quello bello. La trama è la solita, mega demone incazzato che minaccia di distruggere tutto e Dante, Nero e compagnia che vogliono evitare la distruzione del mondo intero.
Capcom riprende tutte le trame più care ai fan del marchio, la lotta fra i due fratelli figli di Sparda, le origini di Nero e le tipe mezze nude, ma mega cazzute.
Approfondisce queste tematiche ricreando quell’atmosfera che nel quarto capitolo della serie si era totalmente persa. Ricalcando forse troppo DMC3 forse ma ridando lustro a quelle ambientazioni pulsanti e carnali che avevano consacrato Dante e Vergil a idoli dei 13enni dell’epoca.


I modelli dei personaggi sono davvero notevoli e danno un look realistico ad un brand che era molto jap style, conferendo non solo appunto realismo ma anche delle espressioni che consentono di apprezzare molto di più ironia e sarcasmo, punto forte dei personaggi.
E poi il combat system. In questi anni i sistemi di combattimento mi hanno sempre fatto abbastanza pena. L’ultimo gioco che mi aveva fatto divertire(per quanto riguarda il combattimento) era appunto DMC3 e ci sono voluti anni per avere il nuovo God of War, che mi ha fatto appassionare nuovamente agli scontri, fino a desiderarli invece che volerli evitare. DMC5 è un nuovo capostipite del combattimento come lo era stato il terzo capitolo. Il sistema è veramente divertente, vario e adrenalinico. Difficile rimanere indifferenti.
In conclusione DMC5 è il DMC che aspettavamo, niente di rivoluzionario per quanto riguarda la trama, ma per i modelli ed il combattimento il gioco vale il suo prezzo. Prezzo che non è nemmeno da tripla A.
Io l’ho acquistato a 45 euro due giorni dopo l’uscita in fiera, ma già l’avevo trovato su amazon a 50. Acquisto consigliatissimo, meno a chi non ha mai giocato al brand. Anche se ci sono remastered ovunque.
VOTO 8,5/10

mercoledì 17 luglio 2019

Forse sono tornato

Dopo anni di latitanza ho deciso di ricominciare a scrivere qui su questo blog. Non so quanto durerà, ma nel dubbio qualcosa è sempre meglio di niente. Da quando scrivevo qui la mia vita è radicalmente cambiata, sognavo di scrivere fumetti e ora cerco di fare il regista. L'università è lì ferma, ad un passo dal traguardo ma un passo per ora davvero troppo gravoso per le energie che servono.
Dopo questo inizio spacca palle, vi preparo delle belle recensioni. Filmozzi, videogiocozzi e tutto quello che finisce in ozzi quindi anche Fantozzi.
Da domani qui su Law&Heroes